Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

mercoledì 29 maggio 2013

#182. music saves. episodio 9. the last days of teenage years


L'estate del 1997 non fu degna di nota, se non per un particolare importante: i miei primi due giorni di vacanza da sola con la mia più cara amica. Due giorni, eh, niente di che. A Finale Ligure, poi. Però carini, divertenti, un'esperienza di autonomia che non avevo ancora provato
E una colonna sonora che non dimenticherò, un altro di quei piccoli miracoli pop in cui magicamente critica e pubblico si incontrano: Bittersweet symphony dei Verve. 

I Verve erano una band inglese che, beneficiando degli ultimi strascichi del brit-pop, riuscì a suscitare l'attenzione di stampa musicale, marketing e pubblico grazie a un grande singolo (Bittersweet symphony, appunto) e a un album spettacolare, un altro dei mitici timeless classics della vostra cialtrona: Urban Hymns. A parte il meraviglioso titolo, l'album è perfetto dall'inizio alla fine. Un magma di emotività esplorata in tutte le sue gradazioni, dalla rabbia all'amore, dalla malinconia alla sospensione lisergica. 
Era chiaro fin da subito che il brit-pop non era stato altro che il cavallo per attraversare il fiume. C'era dell'altro: ben altro. Un rock'n'roll chitarristico suonato da dio, un senso della melodia quasi beatlesiano, atmosfere psichedeliche degne del miglior rock anni Settanta. Se non bastasse, un elemento che nelle grandi band non manca mai: un leader carismatico in perenne conflitto con l'altro grande ego del gruppo, il chitarrista. E tutto il corollario rock'n'roll di droga e camere d'hotel sfasciate. 
I Verve sono stati una fiammata potentissima ma breve e instabile, nella storia del rock: questo è stato il loro limite e il loro fascino. 
Ma torniamo al mio percorso psicovintage: estate 1997, prima vacanzina da sola, i Verve. Evidentemente fu una botta di autostima e di good vibes perché l'ultimo anno di liceo fu, insieme al terzo, in assoluto il più piacevole. Le vecchie amicizie, quelle sane, si cementarono; quelle che non erano vere amicizie si persero; e ci furono nuovi compagni di strada a farmi piacevole compagnia. Ci furono un sacco di feste dei diciotto anni, facevo una vita discretamente mondana (per i miei standard ovviamente), in qualche modo avevo trovato una mia collocazione, una mia femminilità, un mio saper stare al mondo. Decisi che mi bastava ciò che avevo, andava bene così. Ero sempre la solita timida, imbranata coi ragazzi e ingenua, diciamolo. E con quella complessità di fondo che mi faceva ingrovigliare le situazioni più semplici. 
Ma ero io, in cerca di me stessa, che mi confrontavo con un mondo sempre più adulto: l'esame di maturità, la patente, la scelta dell'università. Finalmente molti pezzi si stavano ricomponendo, ma ero anche consapevole che nuove, ben più grandi sfide mi aspettavano, e che comunque parecchi nodi sarebbero venuti al pettine.
Nel frattempo, però, mi godevo un periodo sereno e tutto sommato spensierato, in cui alcuni screzi passati si vennero persino a ricomporre. 
A tal proposito, ho da sempre una teoria: quella delle foglie d'autunno. Le cose della vita tendono al massimo della loro bellezza un attimo prima di spegnersi. Ecco: i mesi scolastici tra il 1997 e il 1998 furono esattamente questo.
E, come sempre, più io vivevo più la musica rimaneva sullo sfondo, veniva fruita in modo più passivo. Verve a parte, che furono davvero il fil rouge di quell'anno, il resto fu poca cosa: Natalie Imbruglia, stellina pop di quel periodo, Tragic Kingdom dei No Doubt, Ok Computer dei Radiohead, Homogenic di Bjork, Big Calm dei Morcheeba, Ray of Light di Madonna. Intendiamoci: poca cosa per modo di dire. Ciascuno di questi album ha probabilmente rappresentato il climax delle rispettive carriere. Però ero io che mi rapportavo alla musica in modo diverso. Una compagna discreta, che sapeva quando mettersi da parte. E così fu, anche quella volta. La musica sapeva sempre come salvarmi, anche restando sullo sfondo.

(continua...)

mercoledì 8 maggio 2013

#181. musica per i lunghi inverni.

cari amici e lettori del blogghino, il tempo passa, io cambio e la mia vita con me, ma alla fine torno sempre a una delle mie poche, incrollabili certezze.
e infatti, in questi quattro mesi folli di stravolgimento totale della mia esistenza, indovinate un po' qual è stato il mio appiglio, la mia copertina calda?
la musica, sempre lei, l'unica garanzia di essere me stessa, l'unico luogo in cui tornare per ritrovarmi.
e di dischi, credetemi, ne ho ascoltati davvero tanti, così tanti che ho dovuto scegliere i migliori per potervene parlare senza tediarvi.
pronti per il viaggio? si parte!
Alicia Keys: Girl on Fire
non sono mai stata una sua grande fan: troppo perfetta, troppo pulita. mancava sempre qualcosa. con questo disco, piacevolissimo, l'ho finalmente capito: mancava l'esperienza della vita. diventata moglie e madre, Alicia trova nella realtà ispirazione, potenza e cuore. romantico, caldo e rinvigorente: per serate fredde tra un bagno profumato e una candela accesa.
la migliore èListen to Your Heart
ma io ti consiglio anche: Tears Always Win, New Day, That's When I Knew

Bruno Mars: Unorthodox Jukebox
è il primo grande disco pop di questo 2013 che ne sta dando via a pacchi. Bruno Mars conferma il talento già visto nel suo primo album e anzi compone con cura e personalità un vero bignami della pop e black music degli ultimi decenni. voce splendida, capacità naturale di scrivere grandi melodie. musica leggera nella migliore delle sue accezioni.
la migliore è: Locked Out of Heaven
ma io ti consiglio anche: Treasure, Natalie, Moonshine

Kesha: Warrior
ascoltato e riascoltato decine di volte, questo album è stato un fornitore di good vibrations eccezionale nei momenti più complicati della mia nuova vita. inaspettato, irresistibile e vitale, un album pop come deve essere fatto: coi colori, i glitter, le melodie, la modernità (a volte eccessiva nell'assecondare le mode del momento), ma soprattutto con quell'ironia cialtrona e quell'attitudine genuinamente rock'n'roll che le permette di ospitare nientemeno che Iggy Pop, The Strokes e Patrick Carney dei Black Keys. e allora.
la migliore è: Past Lives 
ma io ti consiglio anche: Wonderland, Crazy Kids, Die Young


Foxygen: We are the 21st Century Ambassadors of Peace and Magic
folle e sconclusionato fin dal titolo, l'album dei Foxygen è, in quest'epoca sempre più retromaniaca, uno dei più riusciti pastiches di musica del passato: Sixties and Seventies, psichedelia, Lou Reed, cambi di registro, glam, Rolling Stones, atmosfere sospese, rock'n'roll e soprattutto grande ironia. nulla di nuovo, ma curioso e curiosamente piacevole.
la migliore è: Shuggie
ma io ti consiglio anche: San Francisco, Oh Yeah, On Blue Mountain

Nick Cave and The Bad Seeds: Push the Sky Away
gli ascoltatori si sono assai divisi su questo disco: i detrattori, per esempio, lo trovano noiosissimo. e invece io, che non ho mai amato molto Nick Cave, qui mi sono innamorata un po' di tutto: dell'atmosfera, del titolo, della copertina. un disco cupo e notturno, certamente, ma che richiede tempo e sensibilità per disvelarsi. quando lo fa, tuttavia, è uno scrigno di meraviglie quello che si apre davanti a voi. sensuale, teso, cinematico, minimale. magnifico.
la migliore è: Jubilee Street
ma io ti consiglio anche: Mermaids, We Real Cool, Higgs Boson Blues

James Blake: Overgrown
non particolarmente colpita dal primo, omonimo album di James - troppo minimale e asciutto, troppo poco ascoltabile per me - mi sono ricreduta completamente con questa meravigliosa manciata di canzoni, in cui il suo peculiare less is more e il suo soul solo apparentemente glaciale si fonde con la melodia e talvolta persino con il pop e la dance. sembra un album proveniente da un'altra dimensione, profondamente emozionante ma in un modo inedito e assolutamente non convenzionale. qui non si scherza: da ascoltare senza se e senza ma.
la migliore è: Retrograde
ma io ti consiglio anche: Overgrown, At Last, Voyeur

Rhye: Woman
sulla scia dell'incantevole Jessie Ware, un altro album che fa del pop soul di gran classe la sua forza. c'è molto delle atmosfere patinate di Sade, nel cantato e negli arrangiamenti, e quello che emerge è in definitiva un grande disco soul senza tempo, che pesca sì dal passato ma con grazia e conturbante sensualità. ci sono dei dischi che sembrano non recare segni di sforzo da parte di chi li ha composti: Woman è uno di questi piccoli miracoli della pop music.
la migliore è: Major Minor Love
ma io ti consiglio anche: The Fall, Shed Some Blood, Open

Suede: Bloodsports
in un'epoca di eterni ritorni, più o meno dignitosi, devo ammettere che ho guardato al comeback album degli Suede con sospetto e timore. troppo ho amato la loro musica, nei complicati anni Novanta, per poter sopportare un buco nell'acqua o, peggio ancora, intravedere una mera ragione economica. e invece abbiamo di fronte a una gradita eccezione. certo non siamo ai livelli dei tempi d'oro, ma quella voce e quelle melodie sono sempre grandi e grandiosamente epiche. bentornati!
la migliore è: Barriers
ma io ti consiglio anche: It Starts and Ends with You, Snowblind, Faultlines

Woodkid: The Golden Age
se James Blake costruisce un grande disco togliendo, l'esatto contrario avviene con questo primo, eccellente album di Woodkid, nome dietro il quale si cela l'artista visuale Yoann Lemoine. Woodkid infatti concepisce un unicum ambizioso e a fuoco fatto di musica e immagini tra loro inscindibili: malinconico ed epico, l'album è una lunga cavalcata attraverso le disillusioni del diventare adulti, e alterna con maestria momenti raccolti ad altri vigorosi e potenti, emozionando spesso oltre misura. una bomba, davvero.
la migliore è: Run Boy Run
ma io ti consiglio anche: The Golden Age, I Love You, Ghost Lights