Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

Mille occasioni di festa feat. Beyoncé

venerdì 30 settembre 2011

Occasione di festa numero 109.

Runways Fall 2011.


Trend #3: Animalier


Quattro piccoli consigli prima di cominciare


Bello vedere gli abiti in passerella, su corpi perfetti e nel contesto ottimale. Bello divertirsi, o meravigliarsi, osservandoli nei più improponibili e provocatori degli accostamenti. Tutto bello. Però, scrivendo i post precedenti, mi rendevo conto che mancava sempre qualcosa.
Quel qualcosa siamo noi: noi che non siamo modelle e che non lavoriamo nel rutilante mondo della moda. Noi che dobbiamo pur vestirci. Primo: non pronunciate mai quest'ultima frase. Non siamo donne delle caverne la cui primaria preoccupazione è buttarsi una pelle d'orso addosso per sopravvivere all'assideramento. Secondo: giocate. La moda, per chi ci lavora, è un business; per noi donne mortali è fondamentalmente un divertimento. Ci fa esprimere, mostra chi siamo, è un linguaggio di comunicazione immediato che va oltre la parola. Scegliereste le parole sbagliate, per raccontarvi? Penso proprio di no. Il mio terzo consiglio parte da una constatazione: la maggior parte di noi non può permettersi nessuno di questi capi. E allora, siccome ci piacciono, e vestirci bene è un nostro sacrosanto diritto, da qualche anno a questa parte il santo protettore delle fashionistas squattrinate ci ha fatto la grazia: e, come funghi, sono spuntati questi meravigliosi templi del low cost che ogni anno ci salvano la stagione (vero, l'anno dopo difficilmente quei vestiti andranno ancora bene: ma non durano forse una stagione la maggior parte delle mode?). Il mio ultimissimo consiglio infine è: per ogni stagione, acquistate (o fatevi regalare) uno/due capi e un accessorio di qualità - ma scelti bene, che non durino una stagione sola e che soprattutto funzionino in molte combinazioni diverse. Sarà un piccolo investimento in stile che produrrà ottimi frutti nel vostro guardaroba.

Da questa piccola riflessione, e da questi quattro piccoli consigli, nasce per il blogghino un modo nuovo di raccontare la moda: un po' più concreto, didascalico se necessario, spero soprattutto un po' più utile e funzionale per voi che leggete. Aspetto i vostri feedback!

E adesso andiamo a divertirci.


Runway notes


L'animalier, tendenza evergreen già ritornata in auge la scorsa stagione, viene potentemente ripreso sulle passerelle di tutte e quattro le capitali della moda per le collezioni invernali. Nella versione più urbana e portabile, lo troviamo a NYC; compare poco a Londra (e quasi totalmente da Burberry) mentre trionfa, tra esibizionismo, ironia, aggressività e allure ultra-chic, a Milano e Parigi.
Proprio queste ultime ci propongono la variante più coraggiosa e originale di questo stile: il mixmatch di colori e stampe. Diamo un'occhiata ad alcuni modelli di Prada, Chloé e Dries Van Noten.
Ecco qui i deliziosi stivaletti sixties di Prada: cosa notate? Il pitone è declinato in diversi colori, la grana del motivo animalier è differente nei vari inserti, e - dulcis in fundo - la pelle è accostata a un bizzarro lurex color rame. Se nel primo caso l'accostamento è un po' stridente, nel secondo il tono su tono è perfetto.
Ed ecco Dries Van Noten, la cui intera sfilata è stato un capolavoro:  poco più grande di una pochette, la bustina animalier con manici arrotondati, anch'essa di ispirazione sixties, è incantevole in questo accostamento full color/motivo grafico. Immaginatela con un abitino nero: il twist che gli conferirà sarà pazzesco.
Andiamo ora a Parigi, da Chloé: avreste mai detto che righe e stampa pitone stanno bene insieme?  E' vero: i capi, presi singolarmente, sono già di per sé strepitosi - quella gonna! - ma la ripresa del tono ocra/senape tra la blusa e la longuette è un capolavoro d'audacia. Certo è un look da sfilata, ma vi invito a notare come NON vi siano accessori e come le scarpe siano semplicissime decolletées nere. Sempre da Chloé, poi, ecco altri interessanti mixmatch, simili a quelli di Prada appena visti:  questa borsa a secchiello, retaggio seventies, è perfetta sul vestitino stampa paisley. Un accostamento del tutto inaspettato.
Un'altra chiara tendenza sono i cappotti, trench, soprabiti in total look animalier: Burberry osa persino un pezzato, Gucci un aggressivissimo pitone smeraldo, Dolce & Gabbana puntano sull'effetto ironico e inaspettato di un soprabitino tigrato buttato con nonchalance su un tuxedo androgino, mentre Missoni propone una bellissima variante pastello, lunga fino ai piedi, portabilissima anche da chi teme il maculato perché troppo volgare.

Accessories


Tra tutti gli accessori animalier visti quest'anno, ce n'è uno che mi fa letteralmente impazzire:  la coppolina pezzata è firmata Burberry, e sta un incanto accostata al cappottino color mattone dalla forma rigorosa e sagomata (please take note!). Poi ci sono le borse. Fantastica e molto pratica quella da giorno di Bottega Veneta, irresistibilmente girly questa color cipria vista da Dior,, a contrasto con il rosso supersexy di Nina Ricci 
Poi ci sono i gioiellini, le micro borse: tra le più belle, la mini cartellina di Gucci,  la pochette con bottone di Prada e la superminipochette bordeaux di Valentino.
Sulle scarpe io andrei ovunque con questi stivaletti so sixties di Dries Van Noten, o con i fantastici stivali al ginocchio di Valentino che, sotto un trench nero o beige, o un abitino morbido sopra il ginocchio, vi faranno entrare dappertutto (sì, il pitonato va forte quest'anno e meno male, visto che è la variante più chic dell'animalier propriamente detto). 
Chiuderei la wishlist degli accessori con queste belle idee per coprirsi le spalle (a guardarvele, pensateci voi): non sono a-do-ra-bi-li il ponchino e la mantellina maculata di Anna Sui Stanno veramente dove li mettete, e come li mettete, anche se ancora meglio è il coprispalla di Roland Mouret con il suo irrestibile charme un po' wild e arruffato. 

How To


Ed ecco il momento tanto atteso.
Adesso insomma vi faccio vedere come le persone normali possono portare l'animalier. Sono sempre look da sfilata, ma credetemi ciascuno di questi outfit può essere indossato da una a caso di noi. Guardate bene gli abbinamenti e l'equilibrio delle parti.
a) quel tocco in più
i guantini di Steven Alan;le gonne tubino semplici, ma d'effetto, di Max Mara,  Loewe,  ed Elie Tahari; il tocco red sulla blusa di Trussardi 
b) variazioni sul tema


da Chloé l'animalier è funzionale allo stile seventies: qui lo vediamo nelle varianti più portabili e da giorno
 

per DKNY e Reed Krakoff , invece, l'attitudine è grunge

l'allure ladylike di Ferragamo  St. John  rende sicuramente questi capi un po' impegnativi e da signora, ma non c'è davvero modo più elegante di indossare l'animalier.

Menzione d'onore per questo capolavoro di misura, visto sempre da Ferragamo, che rinnova il little black dress con una stampa animalier uniforme ma molto discreta e adatta a tutte, abbinata - in modo esemplare - a pochette e decolletées rigorosamente nere.

Sara's Tips


A me l'animalier piace moltissimo. Se portato con ironia, e ben dosato, conferisce forte personalità e carattere. A seconda degli accostamenti, può essere molto femminile o molto rock'n'roll: sta a voi guidarlo dove più vi piace. Personalmente quest'anno ho potuto scatenarmi con tre piccoli capi che però si sono rivelati degli ottimi passepartout:



I due golfini, di H&M, sono identici. L'effetto è però completamente diverso: la stampa pitone in black and white è più da signora, e spesso l'ho sdrammatizzata con bangles coloratissimi, All Star nere ai piedi e accostamenti improbabili ma che funzionavano benissimo (un must: la canottina bianca con righine orizzontali nere). Il golfino maculato, invece, meno discreto e più rock, va accompagnato solo da top neri e jeans oppure da vestitini neri, riducendo al minimo gli accessori.
La t-shirt, sempre di H&M, è un piccolo miracolo di portabilità che consiglio davvero a tutte. Da sola dà grande personalità a un paio di jeans, o di pantaloni bianchi, e richiede orecchini e/o bracciali argento. L'effetto finale è molto femminile, grazie anche alla vestibilità aderente, alle maniche arricciate e allo scollo importante che "allunga" il collo.

Per chiudere coi fuochi d'artificio, ecco l'ultima mini-rubrichina, per farvi andar via di qui con un sorriso:

Only the Brave


Secondo me l'animalier non andrebbe MAI portato così (se volete, fatelo, ma non in mia presenza e soprattutto non dite che l'ho consigliato io o parte la querela):
- in total look (Betsey Johnson (Dolce & Gabbana) (Custo Barcelona)
- in fantasie di cui è impossibile definire la provenienza (ovvero: 'ste macchie, di che animale sono?)
  (Dolce & Gabbana (Vionnet)
- questa commentatela voi, io non ce la faccio. (Vivienne Westwood)


sabato 24 settembre 2011

Occasione di festa numero 108.

Avete presente i miei Music Saves, ovvero quei post a episodi, un bel po' cialtroni, che raccontano la mia vita attraverso la musica? Ecco: Pearl Jam Twenty (regia di Cameron Crowe) è un Music Saves collettivo. Racconta sì i vent'anni di vita di una band, ma spinge lo spettatore a rivivere quegli anni, soprattutto i primi, e a chiedersi: e io dov'ero, allora? Come mi vestivo, con chi uscivo, ero innamorato, ero felice? Perché per molte persone (compresa la simpatica cialtrona) i Pearl Jam sono stati la colonna sonora di una parte importante della vita, delle figure familiari, positive, degli amici persino, e quando si festeggia il compleanno di un amico è inevitabile fare qualche bilancio.
il regista Cameron Crowe (a sinistra) e Eddie Vedder nel 1993
E allora parto da qui per raccontarvi PJ20, che è un gioiellino, scorre veloce per quasi due ore e piace anche a chi non è fan e - voglio esagerare - anche a chi di musica non importa nulla. Ci si emoziona, tanto. Ma non con facili scorciatoie. Cosa che un po' temevo: pensavo che sarebbero stati selezionati solo i brani più famosi e invece no perché l'unica concessione è la versione-fiume di Alive, infilata quasi alla fine, fatta di montaggi di tantissime esibizioni del pezzo durante gli anni, con un assolo di chitarra pazzesco e il solito Eddie che si arrampica ovunque e si butta in una sequenza di dieci stage-diving kamikaze. 
il regista, oggi, con Stone Gossard (a destra)
Un altro spauracchio era l'evocazione dei cari estinti del grunge: e anche qui vi dico invece no, perché piuttosto che indugiare sul rapporto della band con Kurt Cobain e Layne Staley, ricorda en passant l'odio-amore con il leader dei Nirvana - qui rappresentato come una sorta di puntello, di coscienza critica -, fa solo intravedere in qualche frame il cantante degli Alice in Chains (senza mai citarlo) e preferisce piuttosto dedicare un bel pezzo della parte iniziale alla esplosiva figura di Andy Wood, morto di overdose nel 1990 e cantante dei Mother Love Bone, la band dalle cui ceneri sorgeranno proprio i Pearl Jam. 
Eddie Vedder nel video di "Jeremy"
Poeticamente parlando la scelta è stata giusta, perché segna per i ragazzi la fine dell'innocenza ma anche il momento decisivo che di fatto cambia il loro destino, e li rende la grande band che ancora oggi sono; così come un altro nodo narrativo è la tragedia di Roskilde, avvenuta nel 2000 e nelle quale, proprio durante la performance dei nostri, nove ragazzi morirono schiacciati dalla calca. Eddie ricorda come l'evento fu per loro non solo una esperienza personale devastante ma anche una presa di coscienza fortissima, come musicisti, dopo tutti gli anni di granitica coerenza e di antagonismo al mainstream e alle logiche dell'industria discografica: "dopo gli anni dei no, forse era il caso di ricominciare a dire qualche sì".
i ragazzi, oggi
Sì perché quelli che Eddie definisce come "anni dei no", gli anni in cui la band cerca di scrollarsi di dosso l'enorme e inaspettato successo iniziale, costituiscono la parte centrale del film, con un interessante intermezzo da legal drama quando viene narrata la guerra col colosso dei botteghini Ticketmaster (e dove compare sai chi? David Lynch. Ma non vi dico altro per non rovinarvi la sorpresa). Un altro ottimo stratagemma narrativo, così come quello di condensare in due minuti, sotto forma di comica muta, l'avvicendarsi dei molteplici batteristi del gruppo, o quello di mostrare la contestatissima esibizione di Bu$hleaguer in cui Eddie indossa una maschera di George Bush e una giacca di paillettes gialle.
...
Accanto a queste scelte, che rendono PJ20 un vero film piuttosto che un classico rockumentary, ce ne sono altre che funzionano a meraviglia: scegliere brani meno conosciuti ma più funzionali all'atmosfera del momento; utilizzare tonnellate di materiale di repertorio, spesso di pessima qualità, e cucirlo con pazienza certosina e ironia; costruire la narrazione facendola passare dai volti dei componenti storici della band, intervistati dal regista.
i ragazzi, oggi, con il regista (primo da sinistra)
Emoziona vedere quattro (non più) ragazzi nella loro inaspettata normalità, quanto di più lontano dal topos della rockstar si possa immaginare. Stone e Jeff, forse i meno talentuosi ma la spina dorsale del gruppo: quelli che l'hanno voluto, creato, che si sono presi i cosiddetti maldipancia (c'erano loro in tribunale, a testimoniare contro Ticketmaster), quelli coi piedi per terra, quelli simpatici che sanno sempre stare un passo indietro ma che fanno gruppo come nessun altro. 
Stone Gossard e Jeff Ament, oggi
Mike, defilato e timido ma così bravo quando è ora di tirar fuori assoli di chitarra pazzeschi. E poi Eddie: timidissimo, la voce profonda e calma, l'emblema della riluttanza salvo poi, su un palco, sprigionare un talento e un carisma senza i quali la band non sarebbe così grande come effettivamente è. E poi quegli occhi, e quel sorriso (sì, sorride! E sorride tantissimo, nel film! Ragazzeeee), eloquenti più di mille parole.
Eddie Vedder
Cameron Crowe, uno che vive di musica da quando è nato, firma il film da regista e da amico: da regista, quando si tratta di fare scelte che funzionino; da amico, quando intervista i ragazzi e ce li mostra nella loro naturalezza.
La sintesi perfetta di questi due approcci la troviamo però nell'episodio che segue.
Quasi verso la fine del film la telecamera segue il chitarrista Stone Gossard nello scantinato della sua casa. Tra oggetti impolverati e ormai dimenticati, spunta un Grammy Award: non si ricorda nemmeno quando e in che occasione la band l'abbia vinto. Si gira verso Cameron Crowe e gli dice ridendo, quasi scusandosi: "penso che questo faccia capire che cosa ne penso".
Cameron Crowe, Eddie Vedder e l'ukulele
 E allora a me è venuta in mente la scena del fotografo maliano Malick Sidibé che, ricevendo la visita di un giornalista italiano, mostra tutti i prestigiosi premi ricevuti stipati dentro una scatola rossa e pronti a essere usati come giocattoli dai suoi numerosi nipoti. Alla fine l'approccio è lo stesso: il sano scetticismo delle persone semplici di fronte alla celebrazione del proprio ego. C'è chi darebbe la vita per uno solo di quei premi, e chi no, e io dico che è qui che sta la qualità del legno (se capite cosa intendo).
Cameron Crowe e Mike McCready (a destra)
Una bella cosa, questo Pearl Jam Twenty. C'è il romanzo di formazione, ci sono gli snodi narrativi, c'è il dramma, ci sono le scelte poetiche, c'è la costruzione dei personaggi. E beh, c'è una colonna sonora fantastica. Se poi siete fan o supermegafan come me, c'è persino di che commuoversi.

P.S.  ah e poi ragazzeeeeee! Si vede un bel po' di quel gran figo di Chris Cornell.